Flowers from the dirt

Fra i vari esercizi che Franco Fontana consiglia nel suo libro ‘Fotografia Creativa’, ce n’è uno chiamato ‘Esercizio del rifuto’: in poche parole, si tratta di scegliere un soggetto che il nostro istinto evita come la peste e buttarcisi a capofitto.
Per me è stato abbastanza semplice scegliere: un anno fa avevo coperto di insulti un amico che mi proponeva di andare con lui a fare foto al Cimitero Monumentale.
Dunque, sono andato a perdermi in mezzo a lapidi e statue. E mentre mi aggiravo fra le tombe scattando foto che, con mia grande sorpresa, trovavo interessanti, mi sono chiesto come mai avessi sempre respinto l’idea di andare a fare foto in un cimitero, e credo che la risposta abbia a che fare con il concetto di morte e con quello che smuove (o non smuove) dentro di me.

Non vi annoierò con i dettagli su come la morte sia entrata a far parte della mia vita. A volte la ignoro, a volte sono talmente consapevole della sua ineluttabilità futura da rovinarmi il presente, tendenzialmente è qualcosa di cui ho paura e da cui cerco di difendermi, anche con l’indifferenza.
Le statue del cimitero, invece, non sono indifferenti. Sono il simulacro con cui i vivi veicolano un’emozione che non sono in grado di esternare pienamente davanti alla scomparsa di chi se ne va, che sia amore, disperazione o serena accettazione.
In questo credo di aver trovato la chiave del mio rifiuto, che al contempo è diventata quella con cui ho fotografato queste statue: rendere un’emozione che non riesco ad esprimere in altro modo.

Insomma, qui l’affare-cimitero da rifiuto si è fatto talmente interessante che dopo la prima mezza giornata ho voluto tornarci una seconda volta (stavolta con l’amico di cui sopra: glielo dovevo), e che ho in programma di batterlo tutto palmo a palmo con la dovuta calma, visto che con le prime due visite sono riuscito a coprire circa un decimo della superficie complessiva.

Perché è una sfida avvincente che mi ha portato ad affrontare un concetto che di solito si tende a evitare e, da un punto di vista fotografico, farlo in una maniera personale anziché rifugiarmi nei miei stereotipi: immergermi nel rifiuto, comprenderlo, abbracciarlo, affrontare una paura per avere fotografie che parlino di me. O per me.

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